alibi legitur

  • La bolla dei titoli. Secondo una ricerca che riporta i risultati di un test effettettuato su 29 volontari (un numero risibile) farsi ripetutamente tatuare renderebbe il corpo più resistente alle infezioni. Un articolo sul sito dell’università statunitense che lo ha realizzato recita Vuoi evitare un raffreddore? Fatti un tatuaggio, o venti. Una volta attraversato l’oceano, la notizia s’ingrossa e da noi diventa diventa Contrordine tatuaggi: fanno bene.
  • Doccia fredda. Due anni fa la campagna delle secchiate d’acqua gelata per raccogliere fondi per la ricerca sulla SLA. Oggi tante testate riportano la notizia di una importante scoperta ottenuta grazie a essa. Per esempio La Stampa titola Scoperto nuovo gene alla base di Sla grazie ad ”Ice Bucket Challenge”. I siti anglosassoni sono ancora più sbilanciati annunciando una svolta epocale. Peccato che le cose non stiano proprio così. Il gene “scoperto” era in realtà già inserito nella lista dei potenziali loci associati alla malattia, la ricerca conclusa ha permesso di constatarne un’associazione tutto sommato marginale (risultando presente nel 3% dei casi) e il suo sviluppo potrebbe non portare ad alcuna terapia. C’è chi spiega che il risultato raggiunto rientra nel normale corso della ricerca scientifica e che titoli sensazionalistici fanno più male che bene perché inducono una fiducia immotivata nell’efficacia delle donazioni a pioggia.
  • Milioni e milioni. Ancora a proposito delle esternazioni di Gori sul Brexit, che scrive: “Cos’è l’Unione Europea?” Nelle ore immediatamente successive l’esito del referendum che ha sancito la Brexit, è stata questa la domanda che milioni di britannici hanno affidato a Google. Ma in realtà la domanda era stata formulata da meno di un migliao di persone, come ha spiegato Paolo Attivissimo sul suo blog. Insomma, un autogol dietro l’altro.
  • Media mediana o moda? Un divertente fumetto sulle insidie della statistica. Per chi non si accontenta degli avvertimenti di Trilussa.
  • Tempo di medaglie. Una interessante discussione (un po’ tecnica) di quattro anni fa sui diversi modi di formare il medagliere delle olimpiadi o meglio di compilare la classifica delle nazioni partecipanti.

scegliere un’unità di (dis)misura

Ho scritto questa lettera con il cuore spezzato da una sentenza sportiva inaspettata che dà fine alla mia lunga carriera sportiva ma soprattutto calpesta la mia dignità di uomo che ha sempre combattuto proattivamente il doping in ogni sua forma e l’illogicità dietro questa sentenza lo testimonia. Illogicità che in cuor mio non ha la presunzione di prevalere sul “dogma della macchina” che mi ha riscontrato 0,00000000005 gr/ml di anastrozolo nelle urine, ma che dovrebbe contribuire a ricostruire un quadro oggettivo dei fatti, aiutando chi preposto a decidere circa la vita e il futuro di un uomo. Perché, sia chiaro è di vita e non più di sport, che qui stiamo parlando. E domando e mi domando: “Era logico doparsi”?

Niccolò Mornati su la Repubblica del 25 luglio 2016

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cortesia di nucleartist / Freepik

E il canottiere Niccolò Mornati, squalificato per quattro anni a meno di un mese dalle prossime olimpiadi cui avrebbe partecipato per l’ultima volta, risponde sei volte no alla domanda formulata nella sua lettera aperta a la Repubblica.

Negare a tutti i costi l’assunzione consapevole di sostanze proibite sembra essere la linea di difesa comune di quasi tutti gli atleti risultati positivi a qualche test antidoping. Otre al caso recentissimo della velista italiana che incolpa una crema per curare i brufoli, c’è chi arriva alle giustificazioni più inverosimili e assurde, di cui sempre la Repubblica presenta in questi giorni una sintetica selezione. Mornati invece sceglie un approccio rovesciato, rivendicando con forza l’assenza di un movente, o meglio, la presenza di tante ragioni per rifiutare il doping, in un atleta nella sua posizione, giunto al termine di una irreprensibile carriera sportiva e con ottime prospettive professionali per l’immediato futuro.

un’iperbole sulla sfera

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cortesia di Freepik

ho dovuto cambiare Paese e reinventarmi una vita. Ho visto mia madre una sola volta negli ultimi due anni, abito a 30 mila chilometri da dove ho sempre vissuto.

da L’Eco di Bergamo dell’8 luglio 2016

L’Eco di Bergamo ha raccolto lo sfogo di un politico locale che, accusato di corruzione (e non solo) e attualmente sotto processo, ha nel frattempo lasciato l’Italia per trasferirsi in California. Comunque, che si sia trattato di una sua involontaria esagerazione dettata dalla nostalgia di casa, o di un errore tipografico del quotidiano online, è impossibile essere lontani 30 mila chilometri da casa, perché tale distanza supera di gran lunga quella massima tra due punti qualunque sulla terra.

Per rendercene conto senza fare discorsi molto formali, possiamo limitarci a considerare il caso di due punti lungo l’equatore. Infatti, nel caso generale di due punti qualunque, possiamo immaginare, facendo finta che la terra sia una sfera perfetta, di ruotare opportunamente la linea dell’equatore, o meglio la circonferenza equatoriale, in modo che passi per entrambi i punti, e ricondurci così al caso precedente.

Dato che l’equatore misura circa 40.000 chilometri (basta ricordare la definizione di metro), due punti lungo di esso possono distare al più 20.000 chilometri, quando sono diametralmente opposti. Pertanto, la distanza tra due punti qualunque sulla terra vale meno di 20.000 chilometri e raggiunge questo limite solo quando i due punti stanno agli antipodi.

Percorrere 30.000 chilometri per andare da un punto a un altro si può fare solo ignorando la strada più breve, per esempio procedendo ad ampi zig zag o scegliendo la direzione opposta a quella naturale, passando cioè per gli antipodi, come chi per andare da Bergamo in California decidesse di sorvolare la Nuova Zelanda.

insomma un miliardo

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il Dito di Piazza Affari, cortesia di Lorenzo Gaudenzi

La media di Trilussa dice che la capitalizzazione dei titoli bergamaschi quotati a Piazza Affari in un anno, dal 30 giugno 2015 a ieri, è diminuita di un miliardo.

Ma è appunto la media di Trilussa. Infatti, per una Brembo che è salita di 720 milioni, c’è Ubi che è tracollata di 4,1 miliardi.

L’Eco di Bergamo, 2 luglio 2016

In base ai dati forniti dalla Borsa Italiana, ho ricostruito (pur con qualche differenza rispetto ai dati citati nell’articolo) la situazione dei titoli considerati.

titolo capitalizzazione
in € 30/06/2016
variazione %
30/06/2015-30/06/2016
capitalizzazione
in € 30/06/2015
variazione assoluta in €
30/06/2015-30/06/2016
agronomia 978.250 -93,29% 14.578.987 -13.600.737
brembo 3.275.516.813 32,63% 2.469.665.093 805.851.720
italcementi 3.673.349.596 75,85% 2.088.910.774 1.584.438.822
ivs 319.235.140 16,44% 274.162.779 45.072.361
tenaris 14.988.685.862 6,81% 14.033.036.103 955.649.759
tesmec 49.601.309 -29,87% 70.727.661 -21.126.352
ubi 2.332.192.332 -65,25% 6.711.344.840 -4.379.152.508
totali 24.639.559.302 -3,99% 25.662.426.238 -1.022.866.936

Il riferimento alla media di Trilussa non è solo ardito ma anche azzardato. Perché le variazioni assolute delle capitalizzazioni possono assumere valori positivi e negativi; perché sarebbe più opportuno considerare le variazioni percentuali invece di quelle assolute. Ma soprattutto perché il miliardo perso dalle sette aziende bergamasche nell’ultimo anno non è la media ma la somma delle variazioni nella loro capitalizzazione. Insomma, insieme tutte e sette hanno perso complessivamente un miliardo, e non mediamente un miliardo ciascuna di esse.