attenti al divario

Il rapporto dell’organizzazione [Oxfam:] Continua a crescere la disuguaglianze economica, salariale e di accesso al mercato del lavoro tra uomini e donne e il distacco è così ampio che per invertire l’attuale trend servirebbero ancora 170 anni, 52 in più rispetto a un anno [fa].

da la Repubblica, 8 marzo 2017
Come tante altre volte occorre fare un po’ di chiarezza sul titolo. Il divario tra le condizioni salariali di uomini e donne non si misura in anni, all’origine. Sarebbe come dire che le donne vivono in media 2000 litri d’acqua consumati in più degli uomini, o che la loro sottorappresentazione nei livelli politici apicali rispetto agli uomini vale 10mila chilometri annuali in meno per visite di stato.

Ma i fraintendimenti non finiscono qui. Innanzitutto non si capisce come sia possibile invertire l’attuale trend se la disuguaglianza continua a crescere. In secondo luogo, il fatto che da un anno al successivo una stima numerica subisca una variazione di quasi la metà del suo valore (perché 170-52=118 e 52/118 ~ 44%) fa sorgere qualche perplessità sulla sua attendibilità e più in generale sul suo impiego.

Fortunatamente la lettura dell’introduzione del documento “Un’economia che funziona per le donne” consultabile sul sito dell’organizzazione Oxfam chiarisce ogni dubbio.

Yet progress in making women’s position equal to men’s is painfully slow. In fact, instead of improving in 2016, gender inequality in the economy reverted to where it stood in 2008. At the current rate of progress, it will take 170 years for women to be employed at the same rates, paid the same for equal work, and have the same levels of seniority at work as men.

Dunque è falso che la disuguaglianza economica tra uomini e donne continui a crescere, come dichiarato nell’articolo de La Repubblica. Un errore con ogni probabilità non intenzionale, ma dovuto a semplice negligenza e superficialità, che pure mi sembra facciano un po’ troppo comodo quando si affrontano i temi prediletti del politicamente corretto.

E’ vero anzi il contrario: il divario in termini reddituali tra uomini e donne sta calando da tempo, seppure a ritmo estremamente lento, ed è rimasto pressoché invariato solo negli ultimi anni a causa della crisi economica, che come era facile prevedere non favorisce la riduzione delle disuguaglianze.
Supponendo che il divario tra uomini e donne continui a calare negli anni a venire come ha fatto nell’ultimo decennio, ci vorrebbero 170 anni per annullare le differenze di opportunità lavorative e reddito tra uomini e donne.

Già di per sé il calcolo di un indicatore che misuri le disuguaglianze tra i generi nel mondo intero è giocoforza oggetto di scelte e assunzioni arbitrarie nonché di imprecisioni insite nelle indagini campionarie necessarie per la sua determinazione. Calcolare poi il tempo necessario affinché tale indicatore raggiunga la situazione dove le disuguaglianze si annullano completamente significa aggiungere ulteriori ipotesi di lavoro (molto) semplificatrici sull’evoluzione del fenomeno nel tempo che introducono nuove e più pesanti approssimazioni (quando non distorsioni) nelle stime. Lo dimostra il fatto prima accennato che basta un dato annuale poco in linea con i precedenti per determinare una grande variazione della stima stessa.

In ogni caso si tratta di una scelta che può forse – forse – aiutare l’opinione pubblica a valutare, attraverso la lentezza dei progressi correnti, lo stato attuale delle disuguaglianze economiche di genere, ma che privilegia un dato del tutto astratto perché, come già visto in un altro recente caso di cronaca, fa riferimento a una situazione di parità ideale se non utopica assolutamente distante dalla realtà del mondo che conosciamo. Di più, lo fa immaginando che le cose evolvano per un periodo di tempo lunghissimo esattamente come sono cambiate negli ultimi anni, il che è francamente poco se non per nulla credibile.

Peraltro i numeri dichiarati nel documento Oxfam sono ripresi dall’edizione 2016 del Rapporto sul Divario Globale di Genere (Global Gender Gap Report 2016) del Forum Economico Mondiale (WEF) che spiega come tale indice sia calcolato come media semplice di quattro sottoindici, relativi ai seguenti settori: economia, istruzione, demografia e sanità, vita politica.


Anche questo documento tuttavia suscita enormi perplessità. Infatti, a proposito del tempo necessario per giungere alla situazione di perfetta parità tra uomini e donne, cui si riferiscono i grafici qui sopra riportati, il Rapporto WEF afferma che:

All things held equal, with current trends, the overall global gender gap can be closed in 83 years […]. However, the most challenging gender gaps remain in the economic sphere and in health. At the current rate of change [] it will not be closed for another 170 years. […] On the other hand, on current trends, the education–specific gender gap could be reduced to parity within the next 10 years. The currently widest gender gap, in the political dimension, is also the one exhibiting the most progress [and] it could be closed within 82 years. The time to close the health gender gap remains undefined. Formally the smallest gap, it has oscillated in size with a general downward trend.

Si può replicare innanzitutto che, a rigor di logica, se il divario economico tra i generi maschile e femminile si annullerà tra 170 anni (e, a maggior ragione, se il divario sulla salute non si annullerà), è assurdo che la situazione di parità complessiva venga raggiunta tra 83 anni. Se uno o più sottoindici non arrivano al valore di parità, nemmeno l’indice generale, che ne è la media, può farlo.

Ma c’è un’altra considerazione ancora più importante da fare. Di norma, laddove il divario tra uomini e donne è molto grande, maggiori i progressi che si possono registrare; viceversa, quando il divario è molto piccolo, allora diventa più difficile ottenere miglioramenti tangibili. Lo rileva lo stesso passo del rapporto quando discute dell’evoluzione degli indicatori relativi a demografia e vita politica, mettendo così a nudo, forse inconsapevolmente, l’autoreferenzialità dell’approccio alla questione della parità dei generi da parte del WEF. Infatti, più ci si avvicinerà all’obiettivo, più i progressi diventeranno marginali, allungando così anche i tempi di raggiungimento definitivo dell’obiettivo stesso. In altre parole, a prescindere dal livello effettivo, reale, del divario, i tempi stimati per arrivare alla soppressione completa delle disuguaglianze rimarranno sempre lunghi, alimentando così nel pubblico, suriettiziamente, un’attenzione ansiosa per la causa della parità tra i generi e, di conseguenza, anche verso l’attività delle istituzioni che si occupano di questi temi. E tutto ciò anche se le buone notizie non dovessero mai venire a mancare, proprio come è successo finora.

In definitiva, un consiglio: attenti alle facili drammatizzazioni. Sia i giornalisti nostrani che gli esperti delle organizzazioni internazionali di massimo livello hanno bisogno di catturare l’attenzione del pubblico, e, seppure in modi e misure diverse, sono inclini a esasperare il quadro della situazione.

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