quando un raddoppio non vale un dimezzamento

cortesia di Alexandra_Koch

Uno studio dell’Imperial College di Londra conferma un tasso inferiore di ricoveri rispetto alle precedenti forme del virus: meno 40%. E una indagine della UK Health Security Agency stima dal 50 al 70 per cento meno ricoveri con l’Omicron. Che tuttavia si diffonde il doppio più velocemente ed è più resistente ai vaccini.

In sostanza, nota la Bbc, se la pericolosità dell’Omicron si dimezza ma il numero dei casi raddoppia, la pressione sugli ospedali rimane invariata.

da repubblica.it del 23 dicembre 2021

Le notizie sulla variante Omicron si susseguono negli ultimi giorni frenetiche ma un po’ confuse e contraddittorie. Del resto non potrebbe essere altrimenti: i dati raccolti finora sono parziali e non consentono di trarre conclusioni affidabili e convincenti.

Secondo l’articolo de la Repubblica la maggiore contagiosità di questa nuova variante compenserebbe la sua minore virulenza, perlomeno da come appare finora. Mi spiace rilevare che purtroppo non è così.

In effetti la minore virulenza, come sostenuto da più parti, potrebbe essere solo apparente, per via del maggior livello di resistenza all’infezione nella popolazione, in gran parte vaccinata; ma ammettiamo pure che sia effettiva. Ciò che vorrei evidenziare ora è che virulenza e contagiosità non producono effetti, diciamo così, di uguale portata.

Già da tempo gli esperti hanno messo in guardia che tra due ipotetiche varianti, una ugualmente contagiosa ma più virulenta del ceppo originale e l’altra ugualmente virulenta ma più contagiosa, quella più pericolosa sarebbe la seconda, e questo per via della natura esponenziale delle ondate epidemiche.

Lo stesso può dirsi anche nel caso in cui contagiosità e virulenza si muovano in direzioni opposte.

Facciamo un semplice esempio numerico supponendo un virus che circola liberamente raddoppiando il numero di casi ogni settimana, e rendendo necessario il ricovero ospedaliero del 20% degli infetti; e una variante due volte più contagiosa, ovvero capace di quadruplicare i casi in una settimana, anche se due volte meno virulenta, obbligando a ospedalizzare solo il 10% degli infetti.

Con la versione originale del virus, 10 infetti in un dato istante diventerebbero 20 dopo una settimana (di cui 20×20%=4 ospedalizzati), 40 dopo due settimane, 80 dopo tre settimane e 160 dopo quattro settimane, tempo in cui si conterebbero 160×20%=32 ricoveri.

Con la variante, 10 infetti nello stesso istante diventerebbero 40 dopo una settimana (di cui 40×10%=4 ospedalizzati), 160 dopo due settimane, 640 dopo tre settimane e 2560 dopo quattro settimane, con un numero atteso di ricoveri pari a 2560×10%=256.

In pratica, nei due scenari il numero di ospedalizzazioni è lo stesso solo dopo la prima settimana, mentre il divario tra i due è destinato a crescere di settimana in settimana secondo una inesorabile progressione geometrica.

Questo calcolo, come ho anticipato, vale solo in assenza di qualsiasi misura di contenimento. Ma spiega comunque il pericolo insito in una variante più contagiosa, e fa capire che una situazione di equilibrio dopo una settimana (virulenza dimezzata, contagiosità raddoppiata) non necessariamente è destinata a confermarsi anche nelle settimane successive, anzi. Se finora l’indice rt è rimasto entro certi limiti, una variante molto più contagiosa può sparigliare le carte e rendere purtroppo necessarie restrizioni più stringenti.

Non voglio essere pessimista. Dico solo che è prematuro trarre conclusioni incoraggianti (o non scoraggianti) guardando solo all’evoluzione del numero di casi positivi e ospedalizzazioni dei primi giorni. Occorre seguire da vicino la dinamica degli eventi ed essere pronti ad agire con tempestività.

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