quanti sono i contagiati in Italia

Ho scritto qualche giorno fa che l’evolversi della situazione sarebbe stato veloce e così è stato.

Devo cercare di mettere per iscritto in fretta le mie idee se non voglio che tra qualche giorno appaiano sorpassate.

Nessuno sa quanti sono i contagiati da coronavirus. Nessuno. I numeri che vengono comunicati giornalmente dalle autorità e riportati sugli organi d’informazione rappresentano, come in molti hanno capito, una tremenda sottostima del numero di contagiati, perché si riferiscono solo ai casi sintomatici, anzi, forse anche solo ai casi più gravi tra i sintomatici.

In teoria basterebbe un campione probabilistico di qualche migliaio di test in tutta Italia per avere una ragionevole stima della percentuale (e del numero) di contagiati. Cioè un campione selezionato scegliendo a caso tra tutti gli italiani, eventualmente rispettando delle quote per ripartizione geografica, fascia d’età e genere.

Conoscere il numero dei contagiati aiuterebbe a capire a che punto è davvero l’epidemia, tanto che un gruppo di esperti ha lanciato un appello per effettuare una massiccia campagna di test. Sull’iniziativa però ci sono pareri discordanti; qualcuno ha espresso dubbi sull’attendibilità e sull’effetto dei risultati. In particolare perché, nei casi asintomatici allo stadio iniziale, non si sa in quale percentuale, il test tramite tampone non sarebbe in grado di rilevare la presenza del virus e l’esito negativo potrebbe portare le persone a comportarsi senza più la necessaria prudenza, mettendo a rischio chi viene in contatto con loro.

Comunque sia, i ventimila e passa contagiati ufficiali sono solo i casi accertati. Sul numero, molto verosimilmente rilevante, di quelli che sfuggono alla rilevazione siamo solo nella condizione di fare delle ipotesi.

Ho letto l’altro giorno un tweet di Matteo Villa che prova intelligentemente a stimare il numero dei contagiati confrontando i dati epidemici italiani con quelli di altri paesi; nello specifico, i tassi di mortalità (o meglio di letalità), dati dal rapporto tra il numero di decessi e il numero (presunto) di contagiati.

Il tasso di letalità italiano è notevolmente più alto di quello dei paesi dove l’epidemia è dilagata prima. Tale discrepanza, che persiste anche dopo avere tenuto conto della nostra diversa struttura demografica, può dipendere dal numeratore (cioè da un eccesso nel numero di morti) o dal denominatore (cioè da un difetto nel numero di contagiati). Non essendoci motivo di ritenere che il virus sia più letale solo qui in Italia, si può ragionevolmente concludere che la discrepanza sia dovuta alla sottostima, rispetto alle altre nazioni, del numero di contagiati, dovuta all’impossibilità pratica di (o alla scelta politica di non) fare tamponi a tutti. E così Villa, calcolando quante volte il tasso di mortalità italiano è più alto di quello mondiale, tre giorni fa stimava che il numero dei contagiati fosse da 4 a 8 volte più grande di quello ufficiale: diciamo 60mila (mia brutale sintesi dell’intervallo compreso tra 50 e 100mila), ovvero, lo 0,1% della popolazione.

Lo stesso giorno è arrivata la notizia del primo calciatore positivo in Serie A, evento di cui, tre giorni prima, avevo calcolato la probabilità azzardando, solo a mia sensazione, un 1% come percentuale di contagiati nella popolazione italiana, corrispondente a 600mila persone, e immaginando per questo che i giocatori contagiati potessero essere più d’uno.

Ho già spiegato che il tempo in cui vengono fatte le stime è importante, perché l’epidemia corre a ritmi tali che il numero di contagiati raddoppia ogni 3/4 giorni.

Nei giorni seguenti sono arrivate una dopo l’altra le notizie di altri calciatori positivi che a oggi risultano essere undici.

Anche qui, approssimando brutalmente i numeri, 11 giocatori sui circa 500 della Serie A equivalgono a poco più di un 2% oggi, ovvero, tenuto conto del tempo di raddoppio, a un 1% tre giorni addietro.

Due stime diverse, insomma, che pur riferendosi allo stesso istante differiscono di un ordine di grandezza: 60mila contro 600mila, in rapporto di uno a dieci.

Non ho difficoltà ad ammettere che l’attendibilità della mia stima è terribile rispetto a quella di Villa, nel senso che la sua precisione è di molto, molto inferiore, basandosi su 500 casi anziché circa 100 mila.

D’altra parte, entrambe si basano su assunzioni non verificate, e forse non verificabili.

Villa considera attendibili i dati sul numero di contagiati in Cina e Corea, oltre che negli altri paesi, quando anche tali dati possono soffrire della stessa sottostima che hanno quelli italiani. E’ vero che in Corea del Sud sono stati fatti tantissimi test, ma la distribuzione per età dei positivi mostra una situazione molto particolare, che qualcuno spiega con la presenza di una particolare setta religiosa.

Viceversa, sicuramente il campione dei calciatori della Serie A non è rappresentativo dell’intera popolazione italiana, perché costituito solo da giovani atleti di sesso maschile. Inoltre la deviazione delle ipotesi sottostanti al mio calcolo (uguale possibilità di contagio per ogni squadra e per ogni giocatore, indipendentemente dallo stato dei compagni), se non era fondamentale per calcolare la probabilità di non avere alcun test positivo, diventa problematica quando il numero di contagiati cresce (quando una squadra ha la metà dei calcilatori positivi il loro numero non può più che raddoppiare).

Ma, insieme ai suoi enormi difetti, la mia stima ha anche un pregio: quello di fornire un valore certo e verificato, perché calcolato su un inseme ben definito e circoscritto di persone controllate dal punto di vista medico. Per questo penso che sia interessante seguire l’andamento dei contagi tra i giocatori di Serie A nei prossimi giorni. Non ci si potrà fare grosso affidamento, ma una qualche indicazione la darà comunque. Da usare cum grano salis.

Concludo con una preghiera. Vivo nella zona del paese più colpita dall’epidemia di coronavirus. Forse proprio per questo motivo la mia impressione non è rappresentativa di ciò che succede nel resto d’Italia. Ma leggo e sento racconti drammatici di medici e operatori sanitari della mia città e della mia provincia allo stremo delle forze, fisiche e mentali, in strutture vicine al collasso. A chi sta lottando per la propria vita, e a chi sta lottando per le vite degli altri, in situazioni estreme, va il mio pensiero.

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