le verità nascoste

Da Genitori, i figli restano sconosciuti anche nella “generazione digitale” su La Repubblica del 7 dicembre 2011:

I risultati di un’indagine realizzata da Telefono Azzurro insieme all’istituto di ricerche Eurispes è Allarme cyber-dipendenza e sexting. Mamme e papà nei confronti di internet nutrono una fiducia disarmante e un’enorme sottovalutazione dei rischi. L’88,9% esclude che i figli possano spogliarsi e inviare online fotografie e video. Ma il 6,7% del campione dei ragazzi confessa di essere già finito nel girone sexting: ha inviato cioè materiale a sfondo sessuale utilizzando una connessione internet, mentre il 10,2% li ha ricevuti e l’8% ha effettuato chiamate a linee telefoniche destinate a soli adulti.

Da USA, il sexting è innocuo? su Punto Informatico il 7 dicembre 2011:

Un recente studio dell’Università del New Hampshire ha ora sottolineato come soltanto l’1 per cento dei giovani a stelle e strisce abbia inviato o ricevuto materiale in violazione delle attuali leggi sulla pedopornografia. Il sexting, perlomeno a mezzo immagini, sarebbe dunque un fenomeno decisamente meno diffuso di quanto si creda.

Tutto può succedere: lo stesso giorno due articoli presentano i risultati di due diverse ricerche a proposito dello stesso fenomeno, giungendo a conclusioni diametralmente opposte (del resto già anticipate nel titolo): un pericolo sottovalutato o un pericolo sopravvalutato? Diversamente da altri casi dove gli stessi risultati vengono riportati sui mezzi di informazione e interpretati in modi divergenti, in questo caso siamo di fronte a due ricerche che evidenziano risultati tra di loro molto discordanti.

Anche considerando la diversità e il contesto di ciascuna delle due ricerche (italiana e generalista la prima, statunitense e specifica la seconda), è difficile immaginare un divario di dieci ordini di grandezza nelle percentuali riportate (10% contro 1%). Come si spiega allora?

Va detto che tutte le indagini campionarie sono soggette a diverse fonti di errore. La prima e più nota è la cosiddetta variabilità campionaria, cioè l’effetto per cui, ripetendo l’indagine su un nuovo campione di soggetti, si ottengono risultati sempre diversi. In verità, anche usare lo stesso insieme di persone non è garanzia di immutabilità dei risultati: non tutti forniscono sempre le stesse risposte alle stesse domande; la gente cambia idea, risponde distrattamente, è incoerente per natura. Ecco perché in generale il moltiplicarsi di ricerche e sondaggi produce più facilmente indicazioni contrastanti o comunque non univoche.

Quando poi si affrontano temi delicati come quello oggetto delle due ricerche, la collaborazione e la fiducia degli intervistati diventano fondamentali. Il timore di venire giudicati male o comunque di non poter rimanere anonimi determina altre due fonti di errore:

  • Le false dichiarazioni: sono dovute a chi preferisce non sottrarsi a domande imbarazzanti ma risponde negando ogni pensiero o comportamento che i suoi familari o le persone con cui si relaziona potrebbero biasimare.
  • Il rifiuto di rispondere: è la reazione di chi non ha paura di manifestare la propria contrarietà a essere interpellato su argomenti considerati molto personali.

Ecco perché in questi casi l’insieme delle procedure adottate nello studio e in particolare le modalità di intervista sono importantissime: quanto meglio sono presentate le garanzie di anonimato e poste le domande, tanto più grande è la disponibilità a rispondere, e a farlo in modo veritiero.

La principale differenza tra i rifiuti a rispondere e le false dichiarazioni sta nella possibilità di determinarne la portata: mentre è immediato calcolare la percentuale degli interpellati che non ha voluto rispondere a una o a tutte le domande (per esempio, nello studio statunitense la percentuale dei rifiuti è pari al 24%), risulta impossibile o comunque molto difficile conoscere quanti non hanno fornito risposte sincere.

Occorre dunque saper leggere con molta prudenza i risultati di ricerche che come questa hanno per oggetto argomenti delicati o spinosi, evitando generalizzazioni semplicistiche, perché non è detto che rispecchino fedelmente ciò che succede in tutta la popolazione, anzi. Il più delle volte infatti è ragionevole ritenere che il gruppo di chi si rifiuta di rispondere differisce in maniera sensibile dall’insieme di coloro che invece partecipano allo studio. E non è sempre detto che le risposte fornite corrispondano al vero. Per questo è meglio evitare affermazioni del tipo “il tot per cento agisce o pensa in un certo modo” e più corretto invece ricorrere a espressioni come “il tot per cento dichiara di agire o pensare in un certo modo”.

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