la moda dei nomi

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Nell’aggiornare i dati della mia visualizzazione su popolarità e tendenza dei nomi in Italia all’ultima statistica fornite dall’Istat, ho deciso di dedicare un po’ di tempo ad approfondire il significato che avevo attribuito al termine di tendenza per misurare l’effetto di una moda.

Nel mio articolo di presentazione, avevo brevemente definito la tendenza di un nome come l’intensità con cui negli ultimi cinque anni ha visto crescere o diminuire costantemente (in termini percentuali) la propria diffusione. Il concetto sottinteso è che la genesi (o l’abbandono) di una moda è descritta dal modello di crescita (o decrescita) esponenziale a tasso costante x%, secondo il quale, fatti 100 i casi attuali, se ne avranno 100+x (o 100-x) il periodo successivo.

Immaginiamo per esempio che, in assenza di interazioni, ogni anno 100 coppie di nuovi genitori decidano di chiamare il proprio figlio Antonio. Supponiamo poi che a partire da un certo istante, il 50% dei bambini con questo nome diventi motivo per convincere (per effetto di passaparola, o spirito di emulazione, o condizionamento massmediatico, i meccanismi tipici di una moda) una nuova coppia di genitori, che avrebbero scelto diversamente, a chiamare il loro figlio allo stesso modo. Allora l’anno successivo le coppie di genitori che decideranno di chiamare il loro figlio Antonio saranno 100+50=150 (cioè il 50% in più di 100); l’anno seguente diventeranno 150+75=225 (cioè il 50% in più di 150); e così via. Se al posto del 50% si considera un’altra percentuale si otterrà una serie di numeri diversa, ma costruita alla stesso modo. Sempre a titolo di esempio, un tasso del 100% produce la sequenza di valori 100, 200, 400, eccetera. Ovviamente una moda è tanto più marcata quanto più la percentuale x% è grande.

Discorso analogo vale per percentuali negative, che descrivono il declino di una moda. Ancora a titolo di esempio, se il nome Antonio perde ogni anno il 50% di possibili genitori, allora 100 nati di nome Antonio diventano 50 l’anno successivo, e poi 25 l’anno seguente, e così via.

Le sequenze numeriche appena descritte, dove ogni numero si ricava dal precedente applicando lo stesso tasso, rappresentano dei casi ideali. Nel concreto, non succede praticamente mai di osservare la stessa identica variazione percentuale per più anni di fila, ma a seconda che agisca o meno, e con che forza, un meccanismo come quello esposto, si avranno variazioni più o meno simili tra loro, cioè vicine a quelle previste dal modello.

Occorre dunque tenere conto di due fattori: il valore del tasso nel modello esponenziale e la sua capacità di approssimare le frequenze effettive. A ciò risponde il calcolo della tendenza, che misura con una formula matematica la forza della moda rapportando il tasso percentuale del modello teorico alla sua distanza dai dati osservati negli ultimi cinque anni.

Il numero di anni è arbitrario ma tiene comunque conto del fatto che la frequenza di un nome non può crescere percentualmente all’infinito: le mode sono passeggere, cioè vanno e vengono.

A questo punto per comprendere appieno come la tendenza traduca numericamente l’intensità di una moda conviene affidarsi anche alle immagini. I grafici riportati qui sotto mostrano le serie temporali della frequenza percentuale e della tendenza per tre nomi che rappresentano altrettante situazioni paradigmatiche. L’intervallo di tempo considerato va dal 1999 al 2016, periodo di cui l’Istat mette i dati a disposizione; ma i primi valori della tendenza si riferiscono al 2004, perché basati sulle ultime cinque variazioni annue percentuali: 2004 rispetto a 2003, 2003 rispetto a 2002, 2002 rispetto a 2001, 2001 rispetto a 2000 e 2000 rispetto al 1999. La scala dell’asse verticale nei grafici della frequenza è logaritmica, di modo che, in verticale, a distanze uguali corrispondano variazioni percentuali uguali. Al momento non ha importanza chiedersi cosa significhino i valori sull’asse verticale nel grafico della tendenza; basti dire che valori tanto più distanti dallo zero rappresentano tendenze positive e negative (cioè l’essere un nome di moda o fuori moda) tanto più forti.

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Sofia è il nome femminile più diffuso tra le nuove nate negli ultimi anni. La frequenza del nome continua a crescere vistosamente fino al 2004, per poi stabilizzarsi, pur con qualche visibile oscillazione. La sua tendenza raggiunge il massimo nello stesso momento in cui la frequenza si stabilizza, per poi calare progressivamente fino ad arrivare al livello zero. Ciò succede perché quando la crescita della frequenza di un nome rallenta per poi fermarsi, descrivendo, come avevo scritto, il passaggio da un fenomeno di moda alla normalità, le variazioni percentuali annuali diventano sempre più piccole, e pertanto anche i valori della tendenza si smorzano fino ad annullarsi.

Tommaso è uno dei primi dieci nomi maschili. La sua frequenza cresce progressivamente fino al 2005, per poi calare altrettanto progressivamente fino al 2010, e quindi ricominciare a salire. I valori della tendenza ricalcano l’andamento pluriennale a onda della sua diffusione, delineando una moda ciclica.

Marwa non è un tradizionale nome italiano. Poco diffuso tra le femmine, vede una crescita impetuosa fino al 2010 (da un paio di decine a un paio di centinaia di bambine per anno), e poi un calo meno sostenuto, ma altrettanto costante. La sua tendenza rimane all’incirca allo stesso livello positivo per tutti gli anni in cui la frequenza del nome cresce, per poi scendere fino ad arrivare in territorio negativo dato che il progressivo calo delle sue frequenze supera la soglia dei cinque anni.

Le slide seguenti mostrano graficamente come sono calcolati i valori della tendenza a partire da quelli della frequenza.

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Al grafico delle frequenze percentuali del nome, in alto, viene sovrapposta per tutti gli anni disponibili la sequenza delle serie di frequenze teoriche che meglio approssimano quelle effettive nei precedenti cinque anni.

In basso, viene riportata la corrispondente sequenza dei tassi delle serie di frequenze teoriche.

Il tasso, costante, di ogni serie teorica coincide con la media delle variazioni annuali della corrispondente serie di frequenze reali.

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I tassi medi sintetizzano le corrispondenti serie di frequenze teoriche ma non dicono nulla a proposito della bontà con cui esse approssimano i dati sottostanti.

Quindi stavolta, in basso, la sequenza dei tassi annui riporta anche una misura della loro imprecisione, ovvero un intervalli di errore che dipende dallo scarto tra i valori reali e quelli teorici. .

Durante l’animazione è utile osservare che gli intervalli più ampi sono associati alle serie di frequenze teoriche che si discostano sensibilmente dai dati effettivi, e viceversa.

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Ricapitolando: più è grande il valore assoluto di un tasso, più sostenuta è la crescita o decrescita della serie di frequenze percentuali del nome; ma più è grande il suo margine di errore, minore è l’aderenza dei dati al modello teorico che sottintende l’esistenza di una moda.

I valori della tendenza si calcolano come rapporto tra i tassi e i loro margini di errore. Ovvero, come mostra l’animazione, contando quante volte occorre moltiplicare l’ampiezza dell’intervallo di errore per arrivare a toccare la quota zero che indica l’assenza di qualunque moda.

I valori di tendenza più alti risultano così associati alle serie di frequenze percentuali che mostrano incrementi o decrementi sostenuti e costanti. Ciò si traduce, nelle frazioni che li definiscono, ad avere, rispettivamente, un denominatore grande e un denominatore piccolo. Viceversa, variazioni modeste o altalenanti sono indicatori di mode deboli o confusi.

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