dettagli di una (in)formazione poco (con)vincente

Fernando Santos, il ct degli ellenici, […] decide […], con il supporto della federazione, di rivolgersi a Nikolaos Demopoulos, famoso esperto di statistica, a cui chiede di affiancarlo per migliorare la gestione della squadra e magari anche le prestazioni […]
Karagounis borbotta un po’: Demopoulos l’ha obbligato a mettere la fascia di capitano sul braccio sinistro, perché secondo alcune statistiche il 72% delle squadre che vincono hanno il capitano che porta la fascia da quella parte.

Mi ha molto divertito l’articolo di Gianvittorio Randaccio tratto dal blog Quasirete della Gazzetta, per la rubrica I mondiali degli altri, anche se confesso che all’inizio non capivo se si trattasse di un commento beffardo a fatti veri o di una spiritosa invenzione. Poi l’assenza di qualunque notizia su web circa il fantomatico statistico al seguito della nazionale ellenica, e la lettura di un altro articolo della stessa rubrica, al limite dell’incredibile, mi hanno fatto propendere per la seconda alternativa. :)

Eppure, il pezzo è godibile proprio perché mentre lascia implicitamente intendere il carattere al limite dell’idiozia o dell’assurdità di certe (pseudo)strategie che descrive, racconta in maniera verosimile di come esse vengano convintamente applicate e perseguite. Infatti, anche se sembra impossibile che Demopoulos, credendo che spostare la fascia di capitano aumenti le probabilità di vittoria della squadra, possa essere stato così ingenuo, si tratta di un errore frequente.

In questo caso tuttavia nella convinzione di Demopoulos si sommano due diverse fallacie. La prima è palese: confondere un semplice fatto come una causa: che le squadre dove il capitano porta la fascia al braccio sinistro vincano di più non implica di certo che acquisire tale caratteristica contribuisca a farle vincere di più. In inglese si usa dire correlation is not causation; in latino cum hoc ergo propter hoc; a me piace tradurre in italiano con constatare non significa spiegare. Ho già avuto modo di commentare alcuni casi, più o meno famosi, di simili errori: uno, due, tre e quattro, tanto per fare qualche esempio.

La seconda, non espressa ma sottintesa, consiste nel cercare regolarità e tendenze ovunque, scorrendo meccanicamente ogni possibile informazione nei dati a disposizione. Così come ha fatto per la fascia del capitano, pensiamo a Demopoulos che classifica i risultati delle partite secondo peso e altezza, date di nascita, nomi e cognomi dei giocatori, tipo di scarpe indossate, numeri sulle maglie, eccetera, arrivando a scegliere, per esempio, un capitano alto più di 1 metro e 80; un centravanti che indossa scarpe colorate; un portiere con un cognome corto; e via dicendo. Tanto più alto è il numero dei confronti effettuati, tanto maggiore è la probabilità di trovarne qualcuno associato a una differenza nelle percentuali di vittoria, che pure non avrebbe nessun significato esplicativo. In inglese si parla di multiple comparisons, in italiano di confronti multipli; io trovo espressivo il detto scavando scavando qualcosa si trova sempre, come ho brevemente descritto per un caso simile.

Giustappunto l’altro giorno scrivevo di big data: e proprio due delle tentazioni insite nell’avere una marea di statistiche e dati analitici pronti per essere usati sono quelle di: ambire a spiegare invece di limitarsi a constatare, e scavare scavare per trovare comunque qualcosa.

2 pensieri su “dettagli di una (in)formazione poco (con)vincente

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