casi allarmanti

Dal portale d’informazione RomaTG24.it, a proposito dell’allerta maltempo della scorsa settimana:

L’ondata di maltempo, che secondo l’allerta meteo lanciata nei giorni scorsi dalla Protezione civile prevedeva eventi estremi, ha causato molti meno danni di quanto annunciato ma non ha risparmiato le piogge di polemiche.

Da la Repubblica.it, sull’esito del processo ai membri della Commissione Grandi Rischi:

Condannati a sei anni per aver dato ai residenti avvertimenti insufficienti sul rischio sismico. Questa la sentenza per i sette componenti della commissione Grandi rischi, in carica nel 2009, che avevano rassicurato gli aquilani circa l’improbabilità di una forte scossa sismica, che invece si verificò alle 3,32 del 6 aprile 2009.

Due casi d’attualità, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, simili ma contrapposti: nel primo sono scoppiate le polemiche per un falso allarme, nel secondo sono state emesse sentenze di condanna per un mancato allarme.

Nei termini che ho cercato di inquadrare in un mio precedente articolo, il falso allarme corrisponde a un falso positivo: si decide un’azione assumendo il verificarsi di un evento incerto, che poi in effetti non si realizza; mentre il mancato allarme corrisponde a un falso negativo: si decide un’azione (o una non-azione) assumendo il non verificarsi di un evento incerto, che poi invece si realizza. Qualunque sia il contesto del processo decisionale, è inevitabile la possibilità di sbagliare; e questo vale dunque tanto per un’allerta meteo quanto per un allarme sismico. Le polemiche dell’opinione pubblica e di alcuni gruppi di pressione possono essere fondate, interessate o pretestuose, ma comunque sono da considerare fisiologiche; mentre la sentenza citata sembra non riconoscere la natura, i vincoli e i compromessi sottesi alla vicenda sotto processo ed è stata da più parti giudicata patologica.

Per proteggersi con certezza matematica dai casi di mancato allarme (cioè dai falsi negativi), come ho già spiegato, basterebbe dichiarare lo stato di allerta sempre, in tutti i casi, facendo però fioccare i falsi allarmi (cioè i falsi positivi). Così come, viceversa, per evitare casi di falso allarme (cioè falsi positivi) sarebbe sufficiente non dichiarare mai lo stato di allerta, andando però inevitabilmente incontro a casi di mancati allarmi (cioè falsi negativi). Scenari ovviamente impraticabili.

Diverse fonti spiegano che la colpa degli imputati al processo dell’Aquila non sarebbe tanto quella di non avere previsto il terremoto, per il quale si ammette l’impossibilità scientifica di fare previsioni certe, quanto quella di avere fornito informazioni imprecise e incomplete. Ma il problema va inquadrato nei termini che gli sono propri, e io penso che sia valido lo schema decisionale, seppure semplificato, che ho illustrato a suo tempo: si doveva dichiarare un allarme, o non dichiararlo. Mi riesce difficile immaginare vie di mezzo, in cui si suggeriva ai cittadini di rimanere a dormire nelle proprie case ma tenendo un occhio aperto, o si consigliava ai più ansiosi che avevano parenti lontani di raggiungerli, o qualche altra soluzione ambigua che avrebbe generato incertezza e disorientamento, con il rischio di diffondere più panico di quello preventivabile per il caso di allerta. Dunque la scelta era tra imporre lo sfollamento nelle zone ritenute pericolose, o nel tranquillizzare la cittadinanza, al di là delle differenze specifiche, magari anche notevoli, che pure possono esistere tra casi che fanno propendere per l’allarme e casi che fanno propendere per il non allarme. Intendo dire in altre parole che in un sistema di classificazione binario (cioè a due sole alternative) non c’è spazio per sfumature di giudizio, e una medesima decisione deve essere sostenuta allo stesso modo anche quando applicata a due casi molto diversi tra di loro. Perlomeno di fronte al pubblico la decisione di non dichiarare l’allarme deve avere lo stesso valore che si tratti di un caso assolutamente esente da rischi o di un caso un po’ meno sicuro. Analogamente a quanto succede, per esempio, per l’assegnazione (o per la negazione) di un calcio di rigore, netto o dubbio che sia.

C’è anche un altro fatto da considerare. Il terremoto dell’Aquila avrebbe potuto verificarsi tre giorni dopo, o tre settimane dopo, o anche tre mesi dopo di quando ha effettivamente avuto luogo. Penso che nessuno possa negarlo. Non è irragionevole chiedersi quando avrebbe dovuto dunque essere dichiarato l’allarme per risultare efficace, e se c’erano le condizioni e le risorse per sostenere una massiccia evacuazione della popolazione, e fino a quando.

Ma più banalmente, il terremoto avrebbe anche potuto non verificarsi mai. Anzi, sono sicuro che questa debba necessariamente essere stata l’ipotesi più probabile secondo i membri della Commissione. In tal caso il (falso) allarme avrebbe inutilmente comportato l’evacuazione della popolazione, con il sostenimento di costi economici e sociali non indifferenti. Una questione non trascurabile che, immagino, abbia influito sulla decisione finale la quale, come in tanti altri contesti, rappresenta un compromesso tra aspettative ideali e vincoli concreti. Senza contare, da ultimo, la possibilità di strascichi giudiziari. Come ricorda Wikipedia, due degli attuali condannati, Enzo Boschi e Franco Barberi dichiararono nel 1985 un allarme terremoto per la Lunigiana, il seguito al quale l’allora Ministro della Protezione Civile Zamberletti ordinò lo sgombero di centomila persona e poi, non essendosi verificato alcun terremoto, venne inquisito per procurato allarme.

1 pensiero su “casi allarmanti

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