una differenza che fa la differenza

cortesia di Wikipedia

Il reddito di cittadinanza è riuscito nell’intento di ridurre la povertà nel nostro Paese. È il giudizio del presidente dell’Inps Pasquale Tridico []: “Il tasso di povertà nel nostro Paese si è ridotto di 8 punti percentuali”

da la Repubblica del 20 dicembre 2019

C’è qualcosa che non va.
Per spiegare cosa, devo aprire un inciso e presentare un esempio numerico non direttamente legato al caso in questione.

Supponiamo che un qualche indice che vale 25 subisca una variazione negativa arrivando a 18.

Possiamo immaginare un contesto e un’unità di misura qualsiasi: i due valori possono esprimere indifferentemente un reddito espresso in migliaia di euro, o l’ammontare di una popolazione in milioni di abitanti, o il tempo medio di risoluzione di una pratica in giorni o mesi, o quello che volete voi. La variazione assoluta dell’indice, misurata dalla semplice differenza tra i due valori, è pari a 25-18 = 7. Quella relativa (o percentuale), misurata rapportando la semplice differenza al primo valore, è pari a 7/25 = 0.28 = 28%. Fin qui, non c’è possibilità di fraintendimento, perché l’unità di misura della variazione chiarisce di che tipo è: se la variazione è espressa senza percentuale, sottindendendo la stessa unità di misura dei due valori cui si riferisce, allora è assoluta; se invece è espressa in forma percentuale, allora è relativa.

Le cose si complicano leggermente quando invece l’indice rappresenta una qualche grandezza percentuale.

doppia sopravvivenza

con il comunicato odierno Iliad afferma che il 97% dei clienti intervistati raccomanderebbe Iliad ad amici e parenti (secondo una scala di gradimento da “abbastanza” a “molto”).

da MondoMobileWeb del 3 dicembre 2019

Giusto qualche giorno fa scrivevo di distorsione da sopravvivenza e ora mi ritrovo sottomano la notizia di cronaca perfetta.

Cos’è la distorsione da sopravvivenza? Lo ripeto: il fenomeno per cui la composizione di un’insieme risulta alterata dal fatto che alcuni elementi che vi apparterrebbero inizialmente vengono eliminati prima dell’osservazione finale.

L’esempio paradigmatico riportato da quasi tutti gli articoli e i libri sull’argomento è un caso storico.

bravi studenti e buone scuole

cortesia di NeONBRAND

Osservando una squadra di pallacanestro si può misurare rigorosamente che i giocatori sono decisamente più alti della media dei loro coetanei. Ma se il genitore di un ragazzo non particolarmente alto volesse iscrivere il suo ragazzo a tale attività sportiva sperando che inserito lì dentro possa avere migliori risultati di crescita in altezza dovremmo forse moderare le sue aspettative.

da l’Adige del 22 novembre 2019
Come gli scorsi anni, Eduscopio ha pubblicato l’annuale classifica delle scuole superiori, per provincia e tipo di istituto, in base ai voti degli studenti all’esame di maturità e ai successivi risultati degli esami del primo anno di studi universitari.

Ho letto alcuni insegnanti esprimere critiche al vetriolo verso questa indagine, sostenendo (la sintesi brutale delle argomentazioni è mia) che il ruolo del docente, in quanto teso al raggiungimento di valori immateriali, non sarebbe suscettibile di alcuna valutazione quantitativa. Non voglio entrare nel merito di questa specifica argomentazione, limitandomi a dire che ritengo questa posizione destinata a soccombere di fronte alla richiesta, sempre più pervasiva nell’epoca degli algoritmi e dei big data, di indici numerici per misurare ogni aspetto della vita economica e sociale.

Per me invece l’articolo di Maria Prodi, pubblicato sull’Adige, centra magistralmente il fulcro della questione: la fallacia delle premesse e delle conclusioni che si attribuiscono all’indagine. Per usare le sue parole: siamo sicuri che un ragazzo che si iscrive a una scuola con punteggio migliore troverà una scuola migliore, o semplicemente una scuola in cui si sono iscritti ragazzi scolasticamente migliori? Avevo espresso lo stesso concetto tempo fa ma l’esposizione di Maria Prodi è davvero illuminante. Per questo invito a leggere integralmente il suo articolo.

Vorrei aggiungere qualche considerazione in merito alla domanda principale: quanto conta un istituto nel successo dei suoi studenti?